Quando il mondo ci porta fuori dalla zona termoneutra (il piccolo range di temperature che non richiede al nostro corpo di fare alcun lavoro extra per stare al caldo o rinfrescarsi), succedono cose di ogni genere. Cambiano i nostri schemi respiratori. Si modifica il flusso del sangue e attraverso la pelle, l’organo più grande del nostro corpo. La nostra frequenza cardiaca accelera o rallenta. Queste reazioni non stanno accadendo solo “perchè”. Tutte queste reazioni hanno radici genetiche che risalgono alla lotta di sopravvivenza di M. superstes a tutti quei miliardi di anni fa.
L’omeostasi, la tendenza degli esseri viventi a mantener un equilibrio stabile, è un principio biologico universale. In realtà, è la forza guidante del circuito di sopravvivenza. E quindi la vediamo ovunque guardiamo, specialmente ai valori bassi del termometro.
Quando gli scienziati hanno rivolto sempre più la loro attenzione all’impatto di un ridotto apporto di cibo sul corpo umano, è divenuto rapidamente chiaro che la restrizione calorica ha l’effetto di ridurre la temperatura corporea centrale. Inizialmente non era chiaro se questo contribuisse a una vitalità prolungata o fosse semplicemente un sotto-prodotto di tutti i cambiamenti che accadono nel corpo degli organismi esposti a questo particolare tipo di stress.
Già nel 2006, però, un gruppo dello Scripp Research Institute manipolò geneticamente alcuni topi di laboratorio in modo che vivessero a una temperatura di mezzo grado più bassa del normale, un’impresa che il team realizzò giocando un trucco al termostato biologico dei topi. Il team inserì nell’ipotalamo dei topi copie del gene murino UCP2, che regola la cute, le ghiandole sudoripare e i vasi sanguigni. UCP2 cortocircuitava i mitocondri nell’ipotalamo in modo che producessero meno energia, ma più calore. Questo, a sua volta, faceva abbassare la temperatura dei topi di circa mezzo grado Celsius. Il risultato era una vita del 20% più lunga per i topi di sesso femminile, l’equivalente di altri 7 anni di vita sana per l’uomo, mentre i topi maschi ottenevano un prolungamento della durata di vita del 12%.
Il gene coinvolto, che ha un analogo umano, non era solo un pezzo della complessa macchina che ha ingannato l’ipotalamo a pensare che il corpo dei topi fosse più caldo di quanto dovesse essere. Era anche un gene che è stato collegato più e più volte alla longevità.
Testo tratto da “Longevità – Perchè Invecchiamo e Perchè Non Dobbiamo Farlo
David A. Sinclair, PhD con Mattew D. La Plante