La oncologia integrata rappresenta in termini umani, morali, etici e scientifici una importante possibilità terapeutica e a mio parere la strada più utile da percorrere oggi nella terapia del malato oncologico.
La mia scelta professionale e filosofia medica deriva dall’essere un medico oncologo e dal conoscere i vantaggi, i pregi ed i limiti della medicina oncologica convenzionale, ed altrettanto dall’essere anche un omeopata e dal riscontro della utilità della medicina naturale, ma anche dei suoi limiti nel cercare di curare e guarire da sola un insieme di malattie che chiamiamo cancro.
In quanto medici sappiamo che le malattie oncologiche, salvo rari casi, sono causate dallo stratificarsi di una serie di eventi che alla fine hanno il potere di scatenare la malattia in persone anche geneticamente, immunologicamente, psicologicamente predisposte.
Conosciamo il peso della genetica ed ancor più della epigenetica, quindi dell’ambiente e dello stile di vita, il peso del fattore stress cronico, ed il ruolo della infiammazione cronica di basso grado o “ low grade chronic inflammation” nel causare e far progredire la malattia oncologica; da queste conoscenze deriva la impostazione professionale di intervenire modificando, curando, tutti i fattori coinvolti secondo i dettami della oncologia integrata.
E’ di fondamentale importanza intervenire sul cancro con la chirurgia con lo scopo di asportarlo, con la chemioterapia per distruggere le cellule tumorali circolanti e diffuse in senso metastatico nell’organismo, con la radioterapia per distruggere tumori, metastasi, bonificare il campo operatorio, ma è altrettanto importante ricordare che il cancro è nato e cresciuto in un essere umano, in una persona, che attraverso la propria vita è arrivata purtroppo ad un primo stato di non salute e poi allo sviluppo di un franco stato di malattia degenerativa: il cancro.
Come si fa con le conoscenze che abbiamo oggi a non considerare la persona e la sua storia di vita, la sua condizione, la sua situazione psichica, spirituale, la sua situazione di realizzazione o meno nella vita, i suoi traumi, lutti e dolori? Come si fa a non dare un peso di primaria importanza alla alimentazione continuando a pensare che essa sia solo marginale? Ma soprattutto come si fa a non chiedersi come mai un chemioterapico curi e guarisca uno, mentre fallisce brutalmente nell’altro?
Consideriamo un esempio banale per la sua semplicità: quando si somministrano chemioterapici a cellule tumorali in coltura, che sono sensibili allo specifico farmaco, esse muoiono ogni volta che l’esperimento viene ripetuto. Poi passiamo a somministrare lo stesso chemioterapico a due pazienti malati dello stesso cancro delle colture cellulari di cui prima. Un paziente guarisce, l’altro non risponde. Se il farmaco funziona sulle cellule e funziona sempre, perché su quelle stesse cellule ospitate in due persone diverse può funzionare o fallire? Quale è la variabile che ci sfugge? La persona, il paziente con tutte le caratteristiche che lo contraddistinguono. Dunque la persona fa la differenza!
Queste sono cose che ormai balzano all’occhio in maniera importante e sono almeno una cinquantina le università negli USA in cui la oncologia integrata viene insegnata come materia in medicina.
Gli aspetti della persona a cui dedicarsi sono tanti e più si va in profondità e più si personalizza la terapia del paziente.
Un aspetto che tutti i pazienti hanno in comune è lo stato disfunzionale del loro sistema immunitario.
Consideriamo che durante la fase embrionale, lo dimostrano gli studi di Biava, non si sviluppano tumori, la somministrazione di sostanze mutagene o cancerogene infatti causa piuttosto malformazioni o aborti spontanei, mai il cancro. Lo sviluppo di un tumore avviene quindi, sotto i giusti stimoli, dalla fase fetale in poi dello sviluppo, e perfino durante la gravidanza, nella pancia della madre. Da quel momento in poi si ipotizza che l’essere umano sviluppi cellule tumorali ogni giorno per il resto della vita e che ogni singolo giorno il sistema immune le spazzi via in maniera efficiente e meticolosa. Questa è la condizione fisiologica da cui il nostro paziente è uscito per una lunga serie di cause e fattori scatenanti giungendo ad una dimensione in cui il sistema immune non è stato in grado di distruggere le cellule tumorali e queste sopravvivendo hanno scatenato la malattia. Le cellule tumorali posseggono numerosi stratagemmi per riuscire a mascherarsi al nostro sistema immune, nonché di distruggerlo gradualmente e più il sistema immune viene abbattuto e più la malattia cresce e crea metastasi nell’organismo incapace di difendersi.
A questo dobbiamo aggiungere che le terapie convenzionali come chemio e radioterapia causano purtroppo un danno al sistema immune che si aggiunge al lavoro del tumore, per cui per quanto fondamentali hanno un costo per l’organismo, in parte irreversibile.
E’ importante a questo punto studiare il sistema immunitario del paziente per valutare con la massima accuratezza chi abbiamo davvero davanti e quanto si debba realmente intervenire per sostenere il nostro paziente.
La oncologia ufficiale sa bene che un buon sistema immunitario è un importante fattore, un valido alleato, per combattere il cancro.
E’ possibile oggi avere utili informazioni attraverso un prelievo di sangue e lo studio del sistema immune, questo assieme a tutti gli altri dati laboratoristici e strumentali ci fornisce un quadro complessivo più completo e preciso del lavoro da fare con il nostro paziente.
Lo studio del pannello linfocitario ci permetterà di studiare le singole sottopopolazioni linfocitarie e scoprire quali siano carenti e quali invece eccessive e quindi poter calibrare un intervento terapeutico.
Il modo di trattare un sistema immunitario disfunzionale in oncologia integrata varia a seconda delle condizioni del paziente, delle terapie in corso onde non generare interferenze e del professionista. Si possono usare le citochine “low doses”, la micoterapia, la fitoterapia, la agopuntura cinese, a seconda di quanto si ritiene più adeguato.
A questo lavoro va affiancato un corretto stile alimentare, cosa diversa da una dieta temporanea, una attività fisica di almeno 30 minuti al giorno, un repulisti negli armadi allo scopo di gettare via tutto ciò che nell’universo del paziente ha potuto contribuire a scatenare la malattia.
Ippocrate diceva che prima di guarire un paziente gli si doveva chiedere se era disposto a cambiare ciò che lo aveva fatto ammalare.
Al paziente vorrei dire: non cercare di tornare a “ chi eri”, perché ti ha portato qui, scopri invece ciò che ti ha fatto ammalare e cambia la tua vita per guarire.
Ai miei colleghi medici chiedo sempre: aggredisci il male, ma per guarirla, cura la persona.
dott. Ivano Hammarberg Ferri